per le invenzioni dei dipendenti Ex Art. 64 C.P.I.


< SULL'EQUO PREMIO >

Se a livello teorico il piano normativo sopra proposto sembra essere abbastanza chiaro, in pratica i confini tra queste realtà non sono poi così nettamente distinguibili soprattutto a causa della mancanza di contratti tanto specifici e dettagliati soprattutto nella piccola impresa. Visto che per definizione l'invenzione è anche un miglioramento, un aggiustamento del processo produttivo, raramente un'azienda può prevedere al momento dell'assunzione che ciò si verifichi e tantomeno, perciò, predisporre la stesura di un contratto che includa una retribuzione (fissa e determinata) per un'ipotesi d'invenzione non preventivabile a priori. Ciò implica l'instaurarsi di una tendenza sempre più dilagante nel considerare invenzioni di questo genere invenzioni d'azienda piuttosto che invenzioni di servizio, provocando come conseguenza la nascita di non poche controversie specie in merito alla legittimità nell'attribuzione di un equo premio, soprattutto allo scioglimento del rapporto di lavoro.

Si definisce equo premio quell'indennità straordinaria che viene conferita al dipendente inventore in seguito al raggiungimento, da parte di quest'ultimo, di una soluzione inventiva straordinaria, brevettabile e di conseguenza economicamente sfruttabile dall'impresa datrice di lavoro. Quasi sempre nella pratica l’attività inventiva e di ricerca è implicita nelle mansioni svolte ma non è contrattualmente normata.

Sarà ora bene stabilire quali sono i presupposti per l'attribuzione dell'equo premio. Innanzitutto la mancanza di una specifica voce contrattuale che includa come mansione del dipendente l'attività inventiva e una remunerazione specifica e continuativa per la stessa. Tale concetto va tuttavia ridimensionato alla luce delle singole fattispecie, infatti, sembra una forzatura far appello a tale criterio nel caso in cui il dipendente sia per esempio un ricercatore la cui attività lavorativa è volta interamente alla ricerca di un risultato inventivo e la sua intera remunerazione contrattuale è atta a ripagare tali mansioni; o, più in generale il miglioramento produttivo a cui si fa riferimento è conseguenza stessa del lavoro di un ufficio tecnico nel quale il dipendente è tenuto ad apportare spunti o miglioramenti indipendentemente dal suo inquadramento contrattuale.

In secondo luogo, l'invenzione in oggetto deve essere ritenuta brevettabile. Sarà poi decisione del datore di lavoro decidere se inoltrare una richiesta di registrazione per un brevetto oppure sfruttare l'invenzione sotto segreto industriale. In entrambi i casi il dipendente ha diritto all'equo premio: nel primo caso il diritto inizia a decorrere dalla concessione del brevetto, nel secondo caso a partire dall'utilizzo aziendale dell'invenzione stessa.

Infine, l'invenzione non deve essere stata oggetto di divulgazione pubblica. Sembra abbastanza logica ed intuitiva la motivazione che si cela dietro questo precetto, infatti rendere di dominio pubblico un'invenzione sminuisce il suo valore intrinseco e ne diminuisce anche il valore economico sul mercato dal momento che più entità potrebbero arrogarsi il diritto di utilizzo sull'invenzione per ricavarne una guadagno di tipo finanziario, o per rilanciare l'immagine della propria impresa nel panorama commerciale.

Dipendente - inventore e datore di lavoro: diritti e doveri delle controparti I diritti morali, di paternità che nascono in capo ad un'invenzione sono inalienabili e di esclusiva pertinenza dell'inventore o dei co-inventori nella medesima parte. Per tale ragione è di diritto assoluto del dipendente essere riconosciuto da parte del datore di lavoro come autore dell'invenzione in qualsiasi modo egli decida di sfruttare l'invenzione stessa. D'altro canto, è dovere del dipendente informare ufficialmente il datore di lavoro dell'invenzione ottenuta operando una descrizione dettagliata e tecnica di quello che ritiene essere il risultato inventivo. Il datore di lavoro sulla base di questa deciderà la strada da intraprendere per sfruttare al meglio l'invenzione per il bene dell'azienda; inoltre la stessa descrizione sarà la base sulla quale verranno eventualmente valutati i presupposti per la concessione o meno di un brevetto. Il datore di lavoro, invece, ha il diritto di scegliere quale sia la strategia più consona da adottare per il tipo di invenzione ottenuta. Appartiene al sapere comune, infatti, che ormai non solo il prodotto come tale costituisce un bene di rendita economica ma anche segreti aziendali, know-how, conoscenza operative e procedurali, abilità pratiche, esperienze professionali specifiche, capacità di gestione dei problemi, capacità di interazione con terzi costituiscono nel loro insieme il cespite di un'impresa. Alla luce di ciò l'impresa potrebbe dunque scegliere se:

  • brevettare l'invenzione e sfruttarla direttamente

  • renderla segreta e di esclusivo utilizzo dell'azienda

  • renderla di pubblico dominio

  • brevettare e concederla in licenza a terzi.

Per quanto riguarda i doveri a lui spettanti, come abbiamo pocanzi affermato consistono da una parte nel riconoscere il dipendente lavoratore come autore dell'invenzione stessa, dall'altra valutare il merito, riconoscere in che misura le capacità del dipendente siano servite al raggiungimento del risultato inventivo e, in questo caso, corrispondere un'altrettanto valido riconoscimento economico.

Competenze nell'accertamento del diritto all'equo premio La tutela giudiziaria per l'accertamento dei diritti che nascono in capo all'invenzione spetta da pochi anni alle Sezioni Specializzate di un Tribunale ordinario. In alternativa è possibile far ricorso ad un collegio arbitrale costituito da tre membri nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due (o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale competente), chiamato a risolvere la controversia instaurata tra datore di lavoro e dipendente esclusivamente circa la determinazione del canone o del prezzo dell'equo premio.

Al giudice del Tribunale ordinario spettano le decisioni circa la sussistenza del diritto all'equo premio oltreché la determinazione quantitativa dello stesso. In alcuni casi (minoritari) è proprio il giudice ad adire un collegio arbitrale al fine di definire il quantum del premio con "equo apprezzamento". La decisione assunta dal collegio sarà poi riveduta dal giudice stesso sia nel caso in cui il collegio sia stato da lui nominato sia nel caso in cui si ricorra a tale strumento legislativo per risolvere la mera controversia circa la quantificazione del premio; se al decisione appare iniqua o erronea la determinazione sarà effettuata dal giudice di competenza.

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